Se nell’ambito della giurisdizione l’esercizio del comando non può essere scisso del tutto dal potere di giudicare, così pure la sfera giurisdizionale, nel suo insieme, non può essere separata con taglio netto dalla sfera del diritto.
Questa confusione o sovrapposizione delle sfere giuridica e giurisdizionale si evidenzia bene nella loro larga condivisione di termini e concetti, legie, ragioni, iusticia, diretu, che hanno perciò implicita una forte polisemia. La pluralità di significati risalta soprattutto nel termine d’uso più generale ed estensivo, ragioni, che ricorre in espressioni come «ordini de sa regioni» (dettato della legge, III), «faguir rexoni» (rendere giustizia, CIV e CLXI), «tenere ragione» (giudicare, LXXI), «regioni nostra» (nostra giurisdizione, XX), «istare a sa ragione» (rimettersi alla giustizia), «sas rexonis de sa corti» (diritti fiscali o demaniali), ecc..
Neppure quando ragioni significa «legge» il riferimento è univoco, poiché può trattarsi della legge dettata dalla Carta de Logu, o della legge romana (giustinianea), o di norme del diritto canonico o anche del diritto comune, e persino dei più vaghi principi dello ius naturae e dello ius gentium. In ogni caso le corti di giustizia devono privilegiare il riferimento alla Carta, come «legge scritta del luogo», e soltanto nei casi che questa non contempla possono attingere lumi di giudizio alle altre fonti (compreso a quanto della consuetudine o usansa, non fosse recepito dalla Carta), in modo che la sentenza espressa sia la migliore possibile («sa megius ragione et justicia», LXXI).
Nel vuoto delle norme o nei casi più dubbi resta ancora la possibilità del ricorso al giudizio arbitrario del giudice: «ad albitriu et correctione nostra», III), dove il termine «correctione» potrebbe anche richiamare quel giudizio d’equità che nel Medioevo può intervenire nella considerazione del singolo caso e delle sue circostanze, e che è prerogativa essenzialmente sovrana perché si inscrive in un’accezione della giustizia la più ampia e trascendente la stessa sfera del diritto.
Stupisce, infine, il limitato riferimento della Carta de Logu alle consuetudini, che può forse spiegarsi con la volontà del legislatore di conferire una nuova e più “moderna” unità agli ordinamenti territoriali dell’Arborea, in coerenza con un quadro civile a sua volta più evoluto, per l’emancipazione ormai generale della popolazione rurale dalle catene della servitù domestica e personale.
Aggiornamento: 11 novembre 2017