È noto che la lingua sarda, unitaria nelle sue fondamentali strutture linguistiche, presenta al suo interno diverse varietà areali. Ed è altrettanto noto che la lingua sarda non ha mai avuto una varietà sovralocale, se si eccettua la tradizione letteraria del cosiddetto Logudorese illustre e i più recenti tentativi di costituire uno standard linguistico sardo.
La tradizione degli studi di dialettologia sarda aveva distinto tre grandi gruppi dialettali della lingua sarda: il Campidanese, il Logudorese e il Nuorese.
Già a metà degli anni Settanta, Antonio Sanna aveva proposto l’individuazione di una varietà arborense fra le varietà del Sardo, non come statica mescolanza di caratteristiche linguistiche del nord e del sud dell’Isola, ma come dinamico prodotto della storia linguistica della Sardegna e delle sue tensioni.
È ben noto ad ogni dialettologo che non esistono confini netti fra una varietà linguistica e l’altra, ma semmai delle linee tendenziali, delle fasce confinarie fra domini dialettali. Ciò perché, se una determinata varietà dialettale può essere concepita come un insieme di caratteristiche date, allora ciascuna caratteristica ha i suoi propri confini areali, che non coincidono quasi mai perfettamente con quelli di un’altra caratteristica.
Per esemplificare, è noto che fra le caratteristiche che dividono il nord e il sud linguistici della Sardegna abbiamo il mantenimento della velare latina k (ĝ fricativa o g in posizione intervocalica) contro la sua palatalizzazione a sud: č (o ž in posizione intervocalica): nord kéntu e pàge, contro sud čéntu e pàži (o paxi); inoltre T o C + J latine evolvono in t a nord (th nel Nuorese) e in ts nel Campidanese PUTEUM (‘pozzo’) > a nord pùtu (pùthu nel Nuorese), a sud pùtsu ; *ACIA per ACIEM > àta (àtha nel Nuorese), contro àtsa a sud . Orbene nella varietà arborense abbiamo kéntu e page come a nord, ma pùtsu come a sud. Ciò non è dovuto a una mistura che si sia effettuata in una ‘zona cuscinetto’ fra i due maggiori domini dialettali del Sardo, ma al fatto che ciascuno dei due fenomeni ha avuto la propria storia e i suoi tempi. Ritengo dunque che il dominio arborense sia lo spazio compreso fra il confine che divide kéntu da čéntu e il confine che divide pùtu da pùtsu. Sarà interessante notare che quest’ultimo confine – che per altro coincide abbastanza bene con quello che divide il territorio in cui il pronome atono di 3a persona (< lat. ILLUM) è ḍḍu a sud contro lu a nord – coincide abbastanza bene con l’antico confine del Giudicato d’Arborea. In qualche misura, la configurazione dialettale odierna è legata alla storia e alle sue dinamiche sociolinguistiche. La variante kéntu, ritenuta più prestigiosa rispetto a čentu, e che comportò la variante pùthu > pùtu si affermò in Arborea quando pùtsu, variante più antica, era già ivi consolidata.
Un’altra simile rottura di simmetria è data dal fatto che gli esiti di -L- latina, in una ridotta area all’interno dell’arborense, è di tipo campidanese (sàbi/sàṛi < SALE), ma il nesso LJ diventa dz come al nord: fìdzu, ódzu (contro fìllu, óllu).
Aggiornamento: 11 novembre 2017
Max Leopold Wagner, Historische Lautlhere des Sardischen, Halle, Niemeyer, 1941; trad. It. Fonetica Storica del Sardo, Gianni Trois Editore, Cagliari, 1984.
Antonio Sanna, Il dialetto di Sassari (e altri saggi), 3T, Cagliari, 1975.
Maurizio Virdis, Sardisch: Areallinguistik (areelinguistiche), in Lexikon der Romanistischen Linguistik, Herausgegeben von G. Holtus, Michael Metzeltin, Christian Schmitt (edd.), Niemeyer, Tübingen, 1988, vol. IV, pp. 897-913.